Il «nuovo» pensiero non è più cronologicamente nuovo ad oltre ottant’anni dalla sua nascita e, tuttavia, forse oggi manifesta un carattere di novità e di urgenza maggiore di allora, come si suol dire una «rinascita» che giustifica l’interrogativo sul suo «futuro». La particolare situazione in cui ci troviamo a pensare e soprattutto a vivere, le nuove domande che le mutate condizioni storico-culturali pongono alla filosofia, possono trovare un modello di risposta se ci si volge indietro a quella …
Read moreIl «nuovo» pensiero non è più cronologicamente nuovo ad oltre ottant’anni dalla sua nascita e, tuttavia, forse oggi manifesta un carattere di novità e di urgenza maggiore di allora, come si suol dire una «rinascita» che giustifica l’interrogativo sul suo «futuro». La particolare situazione in cui ci troviamo a pensare e soprattutto a vivere, le nuove domande che le mutate condizioni storico-culturali pongono alla filosofia, possono trovare un modello di risposta se ci si volge indietro a quella particolare stagione della filosofia tedesca che abbraccia i primi tre decenni del Novecento e che fu tragicamente strozzata e azzittita dal nazionalsocialismo. Non si tratta di affermare un ysteron-proteron, sarebbe troppo semplicistico, decisamente acritico e storicamente e filosoficamente inaccettabile. Accade però, nella storia, che dei fermenti non riescano a produrre frutti perché la temperie del tempo non lo permette oppure perché «inattuali», non pienamente adeguati al tempo, e rimangono quindi latenti finché non si verificano le condizioni ottimali per il loro sviluppo, divenendo in tal modo «adeguati » al tempo. È appunto quanto si è verificato con tutti gli autori che si ritrovano accomunati da un «dialogisches Prinzip», se vogliamo riprendere l’espressione di Martin Buber e che si è concretizzato nelle varie figure rappresentative e nei vari pensatori a cui lo stesso Rosenzweig farà riferimento nel suo breve excursus storico, come, neues Denken, Begegnungsphilosophie, Beziehungsphilosophie, Sprachdenken